Il nipote di Gromyko: «La vera novità del vertice? Il ritorno al dialogo. L’Europa ha dato uno spettacolo misero: ora riconosca i propri errori»
di Marco Imarisio
Il nipote del più longevo ministro degli Esteri nella storia dell’Unione Sovietica: «Trump vuole mettere fine alla guerra, sa che non è vantaggioso essere in conflitto con Mosca; Putin sa che la crisi non sarà risolta senza gli Usa. L’Europa ha solo cercato un modo perché Mosca ne esca sconfitta»
Il nipote di Gromyko: «La vera novità del vertice? Il ritorno al dialogo. L’Europa ha dato uno spettacolo misero: ora riconosca i propri errori»
Aleksej Gromyko, ora direttore dell’Istituto europeo dell’Accademia delle Scienze, in una foto di quando era bambino in compagnia del nonno Andrei, ministro degli Esteri dell’Urss dal 1957 al 1985.
«Putin non l’ha spuntata contro Trump, e viceversa. Quelli che ora ragionano secondo la logica del “gioco a somma zero” non hanno capito la sostanza dell’accaduto, oppure cercano di far litigare i due leader, tirando la corda dell’amor proprio del presidente americano».
Il direttore dell’Istituto europeo dell’Accademia delle Scienze Aleksej Gromyko esibisce un ottimismo cauto come il suo sorriso. Il nipote devoto del più longevo ministro degli Esteri nella storia del suo Paese è uno studioso di relazioni internazionali, un appassionato del nostro continente, che crede nel potere taumaturgico della diplomazia. Inutile chiedergli opinioni specifiche sulla guerra in Ucraina, perché ha già dato. Nel marzo del 2022 venne allontanato dal comitato scientifico del Consiglio di sicurezza per aver firmato con altri colleghi un appello a favore della pace.
L’incontro in Alaska è stato solo una esibizione di forza, oppure segna il ritorno a una certa forma di diplomazia?
«Non ho notato alcuna prova di forza ad Anchorage, se non il sorvolo da parata di caccia e bombardieri americani… C’è stata invece una esibizione della forza della diplomazia e della volontà politica».
La politica del più forte?
«Ovviamente, la diplomazia si poggia sempre sulla potenza del proprio Stato. Tuttavia, Washington e Mosca non hanno bisogno di provare l’una all’altra chi è più forte: sanno bene entrambe di essere tutt’ora due superpotenze militari. La principale novità del summit è stata il ritorno degli Usa a un dialogo ponderato con la Russia, volto a normalizzare i rapporti. Con la mera forza, nel mondo contemporaneo non si risolve quasi nulla. Una discussione rispettosa è la via più efficace per riavvicinare parti molto distanti tra loro».
Non le sembra evidente che Putin abbia vinto questo vertice in Alaska?
«Non sono d’accordo, come le ho detto. Nel senso che la vittoria è stata bilaterale. Trump desidera terminare il conflitto con la Russia che ha ereditato da Biden. Ne è angustiato, perché è conscio che dal punto di vista geopolitico, stare in ostilità con la Russia ballando sull’orlo di una possibile guerra, non è vantaggioso per gli Usa».
Non dovrebbe valere anche per la Russia?
«Certo. Infatti, anche Mosca è consapevole che senza gli Usa la crisi ucraina non può essere risolta in modo sicuro e durevole. Per cui è necessario non solo normalizzare i rapporti tra Russia e Ucraina, ma anche tra Russia, Usa e Nato. I risultati del summit in Alaska testimoniano che sia Putin che Trump sono progrediti nel raggiungimento degli obiettivi che ciascuno si pone davanti».
Alla vigilia del vertice in Alaska è stato molto citato suo nonno, che fu campione assoluto di trattative estenuanti. Quali sono le caratteristiche della diplomazia e dei negoziatori russi?
«Per molti versi la contemporanea diplomazia russa ha ereditato le migliori tradizioni di quella sovietica. Si tratta, in primo luogo, dell’uso della diplomazia, soprattutto quella confidenziale, perfino nei periodi più difficili dei rapporti reciproci con gli altri Stati. Piccolo esempio: è evidente che in questi anni la Russia non ha mai smesso di parlare con gli Usa. Senza la diplomazia professionale è impossibile sviluppare le relazioni persino con gli alleati, figurarsi con i rivali».
Come dovrebbe essere esercitata oggi?
«Senza show politici, che risultano deleteri. La vera diplomazia è un lavoro spossante, fatto lontano dalle luci, è un atteggiamento di rispetto verso la controparte e il riconoscimento a questa del diritto ai propri interessi, è la volontà di fermare le guerre anziché prolungarle. Andrei Gromyko osservò queste regole in modo ferreo. La diplomazia russa propone all’Occidente di fare altrettanto».
L’ultima volta che ci siamo visti lei era molto deluso dall’Europa. Pensa che possa ancora giocare un ruolo?
«Mi piange il cuore nel dirlo: l’Europa in questi mesi ha dato uno spettacolo misero, cercando non di svolgere un certo ruolo nella soluzione della crisi ucraina, ma solo di trovare un modo per far sì che la Russia ne esca parte perdente. A mio avviso è uno sbaglio pericoloso, un’illusione nella migliore delle ipotesi. Non è diplomazia, ma un suo surrogato».
Con il suo comportamento la Russia non ha forse giustificato questa eventuale rigidità europea?
«Dopo quasi quattro anni, bisognerebbe però riconoscere i propri errori, cosa che le capitali del vostro continente non fanno, per una cieca alterigia oppure semplicemente per poca competenza. Malgrado la contrapposizione interna nei loro stessi Paesi, Willy Brandt ricompose i rapporti con l’Urss, mentre Schröder e Chirac intervennero contro l’avventura di Bush junior in Iraq. Capisco che non è facile, ma bisogna comunque dare prova di volontà politica, e trovare un linguaggio comune con le potenze guida, specie con quelle che posero fine alla Guerra fredda. Ahimè, dove sono le grandi tradizioni della diplomazia europea?».
Torneremo mai a parlarci?
«Anche in queste condizioni, sono sicuro che il dialogo tra la diplomazia russa e la vostra riprenderà, non appena ricomincerete a ragionare come Europa, senza seguire le necessità e le convenienze strettamente politiche dei singoli Paesi».
Fonte ‘Corriere della sera’